“Che lavoro fai?” – “Sono educatore, ci prendiamo cura di voi”

Ore 6:00 del mattino sono al bar, zaino in spalla, caffè e poi si parte per l’ennesima gita con i ragazzi del Centro di Aggregazione Giovanile. Il barista cerca il mio sguardo, lo trova e mi domanda:

“Scusa…non ho capito, che lavoro fai? “

L’educatore? Partiamo ora per una gita.” rispondo

“Ma dai? E ti pagano? “Non mi dire che lavori quando vai in vacanza con i ragazzi. Ho fatto anche io queste cose come volontario, quando ero ragazzo.”

Queste sono solo alcune frasi che noi educatori ci sentiamo rivolgere dai ragazzi, dai  genitori e da altri adulti con cui entriamo in contatto. Davanti a queste frasi, la domanda che mi pongo è: 

“Ma Io chi sono per tutte quelle persone che ogni giorno incontro nel mio lavoro?”

Allora l’immagine che mi viene in mente è quella di tante barche in legno in mare aperto: mi immagino che prendano il largo per dirigersi verso una metà sconosciuta, in fondo che cos’è la vita se non una scoperta, un viaggio che tutti noi dobbiamo affrontare.

E così partiamo, ma capita che alcuni abbiano una barca meno attrezzata che ha bisogno di essere riparata, alle volte anche trainata o che le venga fornito qualche strumento aggiuntivo per proseguire.

Altre partono forte, ma con il sopraggiungere della notte non trovano più la direzione, ed hanno bisogno di qualcuno che li aiuti a riconoscere le stelle.

Altre incontrano una corrente troppo forte che le porta alla deriva, e necessitano di essere cercati, trovati e di ritornare nella scia di quelli che li precedono.

Altri invece hanno una barca veloce, leggera ed attrezzata, ma rischiano di andare avanti dimenticandosi di quelli che sono partiti con loro, non accorgendosi di quanto potrebbero essere di aiuto agli altri.

Tutti alla fine giungeranno ad una sponda del mare, ma su spiagge diverse a seconda degli avvenimenti accaduti durante l’attraversata.

Ecco quello che fa un educatore: affiancare, sostenere, curare, orientare, ricercare, stimolare e promuovere.

Si può definire lavoro?

Si, se fatto non in modo occasionale e con la logica del “basta la buona volontà”, ma con intenzionalità, programmazione, organizzazione, passione ed un pizzico di follia pensando che tutti si possa giungere alla stessa riva.

Giuseppe Fornari

educatore Fondazione Aquilone